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Jesi: musica e metalli jazz in Bob Money – INTERVISTA

Un lavoro di Bob MoneyMi prendo una pausa dal lavoro in tarda mattinata e ne approfitto per contattare Bob. Mi risponde dopo alcuni squilli, tanto che ero pronta a chiudere la chiamata.
Sono rientrato questa mattina da un concerto” – mi dice.
Non mi dire che ti ho svegliato...” – gli dico.


Eh, sì!” – esclama dentro a una risata, senza traccia di quel rimprovero che chiunque, me compresa, avrebbe fatto sottilmente trapelare (dove “rimprovero” e “sottilmente” sono ironici, si intende!).

Lo spio da un po’, senza essere riuscita a coglierne in pieno la profonda struttura creativa. Bob Money è un nome inventato di sana pianta, e volendo, pure un po’ sarcastico. Ma dietro il fittizio appellativo si cela, non solo un egregio Professore d’orchestra della Filarmonica Marchigiana, ma anche un pittore e uno scultore “metallico”, nonché un performer che non disdegna affatto installazioni intimamente ragionate.

Ci diamo appuntamento all’Hemingway café di Jesi, dove sosta quando non è in giro nelle Marche per qualche concerto, o nel mondo per qualche mostra. Lo stesso locale, un ambiente intriso di arte, letteratura, musica e gestito da Davide Zannotti – un colto e raffinato antiquario senza averne l’aria, che si diverte di più a fare il barman – meriterebbe un capitolo tutto suo.
Cominciamo così una chiacchierata a tre voci, fra un bicchiere di vino e un cocktail analcolico (devo guidare!) fatto su misura per me, azzeccando i miei gusti dopo avermi osservato per un po’.

Bob, ho una domanda che mi frulla in testa da un po’… Sei nato a Stoccarda, in Germania, hai frequentato l’Istituto d’arte di Ancona, l’Accademia di scultura a Carrara, il Conservatorio a Pesaro e vivi a Jesi. Come caspita ci sei finito qui?

Beh, è semplice! Sono figlio di genitori emigrati, per questo sono nato in Germania! Dopo alcuni anni di lavoro hanno scelto di tornare nelle Marche ed io con loro. A Carrara ci sono finito perché volevo approfondire le tecniche scultoree, ma dopo non molto tempo, il richiamo della musica è stato più forte, così ho accantonato il titolo accademico e mi sono immerso nello studio del pianoforte e del corno francese.

Hai sempre portate avanti entrambe le tue passioni, oppure, per dare più spazio alla tua carriera da musicista, hai scelto di riprendere successivamente il percorso che avevi interrotto dell’arte visiva?
Le ho sempre portate avanti in contemporanea, anche se alle volte, l’una mi ha richiesto più impegno dell’altra, ma di base non ho mai abbandonato l’arte e la scultura!

Sei molto attivo con mostre in tutto il mondo, ma è sempre stato così, o c’è stato un evento, qualcosa o qualcuno in particolare che ti ha, per così dire, lanciato?

Ho sempre esposto, ma la vera fortuna, se così si può dire, date le circostanze, è da attribuirsi a un’idea maturata insieme a un caro amico. Subito dopo che l’uragano Katrina aveva devastato New Orleans, abbiamo pensato di aprire un’asta con alcune mie opere, giusto per ottenere qualche aiuto in più, rispetto a quanto saremmo riusciti a fare con una semplice colletta. Il destino volle che all’asta capitasse anche un critico londinese. Le mie opere pare gli siano piaciute al punto da permettermi di intraprendere una serie di esposizioni in tutto il mondo… insomma, una gran botta di… fortuna! Poi, c’è da dire che la rete è una grande risorsa! Mi ha dato la possibilità di farmi conoscere, di mostrare i miei lavori. Insomma, credo sia stato l’insieme di tutte queste occasioni a darmi la possibilità di crescere piuttosto in fretta. Tra l’altro, il mio nome d’arte nasce proprio insieme all’idea dell’asta. È stato il mio amico a dire: “Deve essere un’asta importante e con un artista dal nome altisonante, non puoi usare quello che hai all’anagrafe! Ci vuole qualcosa d’effetto, tipo… Bob! Ti chiamerai Bob Money!”

È a questo punto che interviene Davide Zannotti ammonendo Bob sul fatto che: “Non puoi raccontarla così! Dai! Inventa una storia che colpisca, qualcosa di inusuale… non puoi dire che l’amico tuo, magari mentre eravate al bar a bere una birra, ha detto: ti chiamerai Bob!
Prende il via uno scambio di battute e si ride, mentre Bob chiude il divertente siparietto dicendo: “Oh, io sono sincero! Racconto le cose così come sono!

Tornando a noi… tu esponi in alcune tra le principali città italiane, ma è soprattutto nel resto del mondo che sei particolarmente attivo. Ho visto New York, Parigi, il Regno Unito, gli Emirati Arabi, la Repubblica Ceca e chi più ne ha, più ne metta! Eppure, nelle Marche è davvero raro, se non impossibile, trovare una tua mostra. Come mai?

Bob Money Sì, in effetti è così. Tra l’altro, il 15 maggio sarò di nuovo a New York con una mostra al Prince George Ballroom. L’Italia, e le Marche in particolar modo, sono, a mio parere, troppo politicizzate. Riesci a fare qualcosa se hai degli agganci e, quello che è paradossale, è che un’idea politica vera e propria neanche esiste, c’è solo un’idea generica di politica. Tutto ciò è sintomo di pochezza e scegliere di entrare in un sistema simile vorrebbe dire farsi imbrigliare, mentre la creatività richiede assoluta libertà. Io voglio essere libero e vado dove mi è permesso esserlo, senza che, di contro, mi sia per questo negata la possibilità di esprimermi. Inoltre, molto spesso, in determinate realtà geografiche pare si faccia fatica a sdoganare quelle tendenze nascenti, continuando a prediligere determinati stili e periodi. Ci si ancora al passato senza guardare e valutare ciò che avviene in questo preciso momento. L’arte, come la musica, evolve, procede in avanti. Tutto è andato avanti, di pari passo con le generazioni che si sono succedute.

In che tipo di generazione storico-artistica pensi che stiamo “navigando”?

In una sorta di neutro-realismo. Una realtà che non ha più caratteristiche proprie, non ha odore, non ha sensorialità. Anche a livello sociale vige una neutralità pura: l’indifferenza verso ciò che è altro da noi, il distacco totale da quanto ci avviene intorno… ci muoviamo come macchine autonome in un mondo che sembra procedere completamente svincolato da quello globale. È così anche per l’arte, se guardi bene…

Parlami della tua opera, degli argomenti che affronti, dei vari mezzi comunicativi che sfrutti…

Quello che cerco è prettamente un contatto comunicativo per l’uomo e sull’uomo stesso. Ogni mia opera è una riflessione antropologica: dalla cosmogonia all’evoluzione delle varie civiltà. Attualmente sto lavorando sugli Anunnaki, questa discussa popolazione proveniente dal pianeta Nibiru che, secondo la mitologia sumerica, sarebbe nostra antenata, nonché la chiave per arrivare al famoso anello mancante fra l’homo erectus e l’homo sapiens. Quello che conta per me è raccontare qualcosa che mi preme, per questo è importante suggerire il “filo del discorso” attraverso il titolo dell’opera. Non troverai mai una mia opera senza il corrispettivo titolo. Trovo fondamentale guidare il fruitore! Un’opera senza titolo può creare un profondo disagio… a me lo crea!

Bob MoneySe non sbaglio, i tuoi lavori pittorici sono passati dal bassorilievo a poco meno di un tuttotondo…

Sì, è così. Ho cominciato ad arricchire la forma con l’ausilio di materiali plastici, per arrivare a una vera e propria fusione di policarbonati e pigmenti metallici direttamente sulla tela. L’oro e l’argento che vedi nelle tele sono fusi, colati al momento della lavorazione. Dal bassorilievo in poi si è arricchita di un’emotività sempre maggiore, fino ad arrivare alla terza dimensione. Se vuoi, è come se fosse un’urgenza comunicativa che acquisisce una forma concreta, un po’ in controtendenza rispetto al periodo della letteratura da sms a cui siamo oramai tutti abituati. È quello che ho voglia di fare, di trasmettere, risarcendo della carica emozionale quel linguaggio che si è soliti praticare da una trincea, dietro a un sipario, a una tenda da confessionale quale lo schermo di un pc, di un telefonino, o qualunque altro ausilio tecnologico. La terza dimensione restituisce un messaggio affatto aleatorio: puoi stabilire con esso un rapporto, non solo visivo, ma tattile e olfattivo, oltre che cerebrale. Non è un sunto sbrigativo del concetto che trasporta, ma è anche una struttura che agisce attivamente sul suo contenuto.

Ti va di raccontarmi un aneddoto che riguarda qualcuno dei tanti personaggi che hai incontrato?

Un fatto che ricordo sempre con grande affetto. Ero a Las Vegas, anche in quel caso per una mostra. Nella hall dell’hotel dove alloggiavo c’era un bellissimo pianoforte a coda. Era da un mese che non toccavo più un tasto, a un certo punto non ce l’ho fatta più e ho chiesto al portiere di poter suonare qualche nota. Non è sembrato molto entusiasta, ma ha fatto spallucce e io ne ho approfittato. Ho iniziato a suonare un brano di Ennio Morricone. Dopo un po’ che suonavo si mette seduto vicino a me un signore, mentre il tipo della reception guardava con gli occhi increduli. Io mi sono bloccato, ma l’uomo che mi era accanto fa cenno di continuare. Al termine del brano, lo guardo e mi rendo conto che era Botero. Ha voluto suonare qualche passo con me… ma aveva le dita come salsicce! Comunque siamo diventati amici… lui mi aveva chiesto se ero un musicista e io gli avevo risposto che no, non ero un musicista, ma un pittore.

Note:
Ho provato ad estrapolare i concetti da quello che, in realtà, è stato un lungo divagare sull’arte e sulla comunicazione fra Bob e Davide, con me che ogni tanto facevo una domanda, ascoltavo, prendevo appunti o restavo incantata a guardare una fra le tante opere appese alle pareti, a leggere i titoli dei libri esposti sotto il banco o a ridere di cuore per le battute che si rincorrevano. Sono Alice: questo è il mio paese delle meraviglie e Bob è il bianconiglio che mi ci ha condotta. Lui non è un semplice amante della vita, è un amante dell’arte e di essa si è riempito la vita, a partire dalle persone e dai luoghi che frequenta.

di Laura Coppa

Direttore artistico e curatore
di Artcevia International Art Festival


Redazione Ancona Notizie
Pubblicato Giovedì 21 marzo, 2013 
alle ore 19:01
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