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Intervista a Nicoletta Braschi in scena al Teatro Alfieri con ‘Giorni Felici’

“Un testo di una ricchezza straordinaria”; appuntamento è per venerdì 3 marzo a Montemarciano

Nicoletta Braschi

In esclusiva regionale al Teatro Alfieri di Montemarciano sta per andare in scena ‘Giorni felici’ il capolavoro di Samuel Beckett. Tra una manciata di ore (ndr: l’appuntamento è per le 21 del 3 marzo) Nicoletta Braschi e Andrea Renzi porteranno in scena quello che è considerato un pilastro del teatro del Novecento.

Prima della pièce abbiamo incontrato Nicoletta Braschi, attrice di fama mondiale che annovera tra i suoi lavori prestigiose collaborazioni con registi del calibro di Bertolucci, Giordana, Virzì (con «Ovosodo» vinse nel ’97 il David di Donatello come miglior attrice non protagonista) e, naturalmente, Roberto Benigni di cui è moglie e musa ispiratrice. Questa l’intervista all’attrice:

Qual è la difficoltà maggiore quando ci si avvicina ad un testo apparentemente così complesso?

La difficoltà è una questione di tempo: si tratta di un capolavoro che ci parla di noi con una tale profondità che per essere affrontato ha avuto bisogno di un lungo periodo di gestazione. A me piace definirla la ‘scalata dell’Himalaya”. Abbiamo esaminato il testo con accuratezza, parola per parola, per mesi. Un grande lavoro ma anche un grandissimo piacere: giusto sottolineare il ruolo fondamentale di Andrea Renzi, grande ed instancabile, che con tenacia e pazienza ha levigato il testo non lasciando nulla al caso.

 Cosa significa per un’attrice affermata come lei confrontarsi con il teatro di Beckett e, in particolare, con un testo considerato un Totem del teatro stesso?

Ogni parola di Beckett è un tesoro: di questo testo amo la premura che ha avuto l’autore nel renderlo così ricco di sfumature e dettagli che fa sentire l’attrice accompagnata. Il tentativo è quello di restituire il testo agli spettatori con una assoluta precisione, quasi fosse una partitura musicale. Eppure in questo esercizio di disciplina si nasconde una grandissima libertà perché permette all’attore che si sta cimentando in questa opera di approfondire, scandagliare i grandi temi che questa opera affronta, un testo di una ricchezza straordinaria.

Come affronta il suo personaggio il concetto del vuoto ‘Beckettiano’?

Winnie è una eroina senza tempo, un personaggio che ha bisogno di raccontare e raccontarsi: è conscia dello sgomento che la circonda eppure, nonostante sia consapevole della fallibilità del suo tentativo, attinge alle sue risorse, magari esigue, per superare questo vuoto. Beckett con lei ripropone il problema della lingua; non c’è più nulla da dire: come affermare proprio questo? Un’incompiutezza permeata di poesia che rende i protagonisti immortali ed attuali.

Quanto può essere considerato attuale un testo del genere? Diventa forse una cartina tornasole anche della società e della coppia moderna? Il concetto di ‘coppia complementare per opposizione’ è attuale?

Tutti i grandi capolavori ci parlano di noi oggi: ognuno di noi, attori e spettatori, si riconosce in una parte, in una frase, in un aneddoto del testo; non è raro che qualche spettatrice mi dica di trovare il proprio corrispettivo sul palco: “Winnie sono io”. Questo perché Winnie ci somiglia moltissimo: è un personaggio che racchiude fragilità, a volte frivolezza, ma anche profondità, sgomento verso le domande più importanti che pervadono la vita, penso alla morte, al vuoto. Winnie diventa un personaggio talmente universale da superare il concetto uomo/donna, è l’archetipo dell’umano con le sue sfaccettature e le sue fragilità.

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